sabato 31 dicembre 2011

Il vincitore dei prossimi mondiali di calcio...? L'ambiente!

Ormai quando si parla di calcio non si può fare a meno di pensare agli scandali giudiziari e sportivi, agli stipendi esagerati, alle polemiche arbitrali e roba simile: in questo scenario, però, si legge finalmente qualcosa che riporta un pò il sorriso sulle labbra e può sedurre anche chi di calcio non si interessa granchè.
La prossima edizione dei mondiali di calcio, che si terrà in terra brasiliana nell'estate 2014 (almeno per noi), sarà all'insegna dell'ambiente (o meglio dell'uso razionale dell'energia e della tecnologia).

http://it.notizie.yahoo.com/video/sport-1300270/calcio-il-brasile-prepara-il-mondiale-piu-ecologico-di-sempre-27657608.html


Da quanto si deduce dal video sono due gli argomenti che principalmente mi hanno colpito: il primo è
che la "direzione lavori" brasiliana sta mettendo in campo strategie costruttive mirate alla riduzione dell'impatto ambientale dei futuri impianti sportivi. Cosa molto notevole è la scelta di materiale in loco, che riduce enormemente le emissioni derivanti dal trasporto. Altro aspetto importante (ma ancora non realizzato) è l'installazione di pannelli fotovoltaici sulle coperture dello stadio di Belo Horizonte. Questo impegno (e questi costi) sono di cruciale importanza in un paese che si appresta ad avere un ruolo primario nello scacchiere mondiale: difatti è indubbio che la sensibilità sociale e civile debba essere formata, e forse ha più effeto un evento sportivo di grande risonanza che una qualsiasi riunione di tecnici o politici che denunci le possibili conseguenze dell'agire umano sui delicati equilibri del pianeta.Inoltre prevedere un sistema di produzione con tecnologie verdi in una zona densamente abitata presenta almeno due vantaggi: il primo è quello di sfruttare una superficie altrimenti non sfruttabile, come la copertura di un qualsiasi edificio pubblico; la seconda è quello di produrre in loco: così come per i materiali da costruzione, evitare il trasporto di lavoro elettrico significa risparmiarne una quantità (di certo rimangono i problemi di interconnessione e gestione del lavoro elettrico immesso in rete, ma questo non può che contribuire alla creazione di smart grid, sentita come necessità).

Il secondo fatto che interessa è che anche la FIFA emette protocolli circa l'impatto ambientale che deve avere una propria manifestazione. Va da se che intorno al gioco calcio, e alla sua pratica, nasce tutto un "indotto" che non può che migliorare la qualità della società (si pensi ai bambini che vengono salvati dalla strada e avviati alla carriera calcistica - sperando che non vengano travolti da questa), ma di certo non si può dire della FIFA che è un ente internazionale che persegue politiche energetiche. Quindi questa attenzione non può che offrire uno spunto di riflessione ulteriore a tutti quelli che guarderanno e parteciperanno ai mondiali di calcio: come detto la coscienza civile va costruita, ed ogni strumento può risultare vincente.

Non ci resta quindi che attendere con trepidazione la karmesse calcistica: io personalmente tiferò per lo sport, ma anche per una maggior coscienza della questione energetico/naturale.

venerdì 30 dicembre 2011

Stretto di Hormuz

E' una sottile striscia di mare, circe 55 km dalla sponda dell'Oman a quella dell'Iran, eppure vi passa il 40% della produzione mondiale di petrolio destinata all'esportazione: di questa percentuale la maggior parte è indirizzata verso l'Est, Cina e Giappone in primis, che vedono nell'oro nero l'unica possibilità di mantenere i ritmi di crescita già in pericolo per la crisi mondiale (la prima) e di ripresa dopo il disastro del terremoto (il secondo).

Per capire quanto sia "affollato" questo stretto basti pensare che accoglie un terzo del traporto via mare, con 15 petroliere impegnate quotidianamente, destinate ad ospitare circa 15,5 milioni di barile di petrolio e 2 milioni di barili equivalenti di prodotti petroliferi: queste cifre corrispondo circa ad un sesto del consumo mondiale giornaliero.

Il blocco di questa arteria, ora come ora, avrebbe una incredibile contemporaneità con il mancato apporto produttivo della Libia, impegnata negli strascichi della guerra civile e con l'instabilità politica in cui è ripiombata l'Iraq, dopo che i militari USA (finalmente?) han lasciato il territorio, che impedirebbe alle compagnie petrolifere di promuovere un incremento della produzione.
Guarda caso, proprio in questo contesto, il regime di Teheran ha minacciato di chiudere la sottile striscia di mare come rappresaglia al paventato inasprimento delle sanzioni internazionali motivate dalla ricerca sul nucleare condotte dall'Iran, che a detta dell'AIEA avrebbero scopo militare.
Tale minaccia si è fatta viva il 24 dicembre quando il regime dei Pasdaran ha annunciato di intraprendere manovre militari nello stretto, annunciando di fatto una sua chiusura. A conferma di questa minaccia sarebbero venute a sostegno dichiarazioni del comandante della Marina iraniana, Habibollah Sayyari: "Sarebbe facile per noi chiuderlo, come bere un bicchiere d`acqua."

Gli effetti di questo inasprimento della situazione si son fatti subito sentire: le contrattazioni del petrolio con scadenza a febbraio in quel di New York hanno risentito un rialzo dell' 1,6%, affermandosi a 101,26 dollari al barile. Gli analisti hanno stimato che se venisse meno il quantitativo di oro nero proveniente dal golfo persico assisteremmo ad un incremento del prezzo di almeno 20 dollari: si avrebbe cioè un altro shock petrolifero che avrebbe pesanti conseguenze sull'economia mondiale, non solo su quei paesi che sono destinatari di queste esportazioni, come citato ad inizio post.

Tuttavia fonti del Washington Post vicine al ministero del Petrolio USA han reso pubblico che c'è piena coscienza che questa non è che l'ennesima spacconeria da parte di Teheran, perchè bloccare il transito del petrolio, anche quello prodotto dagli stessi Pasdaran quindi, significherebbe la morte economica dell'Iran. E' noto che i nostri prodotti raffinati sono più necessari al regime di Ahmadinejad di quanto non risulti necessario a noi il suo petrolio greggio: è anche alla luce di questa consapevolezza che sia gli USA che l'UE han risposto a muso duro alla minaccia iraniana, che se dovesse concretizzarsi troverebbe comunque pronta la risposta della V flotta della marina statunitense stabilmente presente in zona nel mare del Bahrain. In aggiunta gli arabi si sarebbero impegnati a sopperire al gap di produzione che si verrebbe a formare se l'Iran uscisse dai giochi (nel mese di novembre ha contribuito con 3,56 milioni di barili al giorno), anche se tale ipotesi troverebbe difficoltà di natura tecnica nell'essere attuata dato che mancherebbero le infrastrutture per poter dirottare il trasporto navale su oleodotti (insufficienti per ospitare la portata, e comunque non abbastanza lunghi da raggiungere le destinazioni prestabilite).

Resta il fatto che l'intimidazione dell'Iran per quanto risulti politicamente/economicamente inattuale (questo paese è gia sotto la morsa di un'impressionante processo inflattivo, dovuto alle sanzioni in atto; la mancata vendita di petrolio trascinerebbe il Paese nel baratro, visto che l'unico export dell'Iran è proprio petrolio, oltre ai pistacchi) è comunque praticabile: la Marina USA ha svolto varie simulazioni in cui si è preso in considerazione l'utilizzo dei sottomarini in forza in Iran, che seppur datati risultano ancora efficaci, ovvero quello degli "uomini rana" e di siluri simili ai "maiali" italiani della seconda guerra mondiale, fino alle mine, già utilizzate nella guerra "imposta" degli anni '80. Quello che è emerso è che se anche una qualsisasi manovra intrapresa dagli ayatollah avesse conseguenze disastrose per questi ultimi, riuscirebbe comunque a rendere la vita difficile sia alla truppe di mare di una eventuale coalizione occidentale, sia al libero transito nello stretto di Hormutz.

Come al solito la produzione e il trasporto di idrocarburi va a scontrarsi con tensioni geopolitiche che sembrano più complesse delle questioni tecnico-economiche (anzi, si può dire che tali questioni talvolta nascano proprio a causa delle suddette tensioni): è successo già in Ucraina, che è stata di fatto tagliata fuori dal transito di gas naturale verso l'Europa con la costruzione di gasdotti paralleli, e così si deve pensare nei confronti dell'Iran, se non si prendono in considerazione soluzioni alternative, ad esempio di natura militare. O più sapientemente si potrebbe sperare che anche in Iran venga finalmente la primavera, magari con un pò di concime occidentale.

Cattura e sequestro del carbonio: le tecnologie di cattura

Riporto qui quanto leggo sul documento scaricabile dal portale SETIS (Strategic Energy Technologies Information System) della Commissione Europea dal titolo Carbon Capture and Storage, con l'obiettivo di aprire una discussione in merito alle tecnologie di cattura dell'anidride carbonica.

Le tecnologie di cattura e sequestro del carbonio
La cattura ed il sequestro del carbonio sono generalmente concepiti in tre fasi principali:
- Cattura e compressione della CO2 presso il sito di emissione
- Trasporto della CO2 fino al sito di stoccaggio
- Stoccaggio, in cui la CO2 è stoccata permanentemente in formazioni geologiche a grande profondità

Ciascuna fase può essere svolta secondo diverse opzioni tecnologiche, attualmente caratterizzate da diversi livelli di prestazione e maturità, che possono essere combinate in varie modalità.

La cattura della CO2
La cattura può avvenire dopo la combustione (post-combustione), per cui la CO2 è rimossa dai gas esausti attraverso l'assorbimento da parte di solventi selettivi, e prima della combustione (pre-combustione), per cui il combustibile viene pre-trattato e convertito in un miscuglio di anidride carbonica e idrogeno. La CO2 viene poi separata dall'idrogeno e questo usato come combustibile.
Una terza opzione è rappresentata dalla combustione in ossigeno (ossicombustione), in cui il combustibile brucia con ossigeno invece che con aria, producendo vapore senza azoto e anidride carbonica concentrata (che può essere facilmente rimossa).

giovedì 29 dicembre 2011

EDF: accordo di principio per raggiungere l'80,7% di Edison

Concluso in data 27 dicembre 2011 l'accordo di principio tra Edison ed EDF per l'acquisto, da parte della società francese, del 50% dell holding Transalpina di Energia da Delmi e raggiungere la partecipazione in Edison all'80,7%.

A Delmi andrà il 70% di Edipower, grazie all'acquisto da Edison (50%) e da Alpiq (20%). Edipower detiene una quota del mercato elettrico italiano pari al 5%, con 7.600 MW installati, suddivisi in 6 centrali termoelettriche, 3 nuclei idroelettrici ed altri impianti a fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico).

L'attuale assetto societario di Edison

L’assetto societario di Edison si è venuto a configurare nel corso del 2005 attraverso la definizione dell’accordo parasociale - la cui scadenza era fissata per settembre 2011 - sottoscritto tra A2A (allora AEM Milano), Delmi ed EDF.

L’attuale struttura azionaria è così composta: 61,3% holding Transalpina di Energia, 19,4% Gruppo Électricité de France EDF, 10% Gruppo Tassara.

La holding Transalpina di Energia è controllata pariteticamente da Delmi e da Électricité de France EDF.

Cos'è Delmi

Delmi S.p.A. è una holding partecipata al:

  • 51% da A2A;
  • 15% da Iren;
  • 10% da Sel;
  • 10% da Dolomiti Energia;
  • 14% da tre soci finanziari: Mediobanca (6%), Cassa di Risparmio di Torino (5%), Banca Popolare di Milano (3%).

martedì 27 dicembre 2011

Il Brasile supera il Regno Unito nella classifica della maggiori economie mondiali

E’ una svolta. Sicuramente attesa, aspettata, la prima di una serie di notizie analoghe che ci aspettano nei prossimi anni, ma fa pur sempre impressione. Il PIL (Prodotto Interno Lordo) del Brasile ha superato quello del Regno Unito ed è ora al sesto posto nella classifica mondiale. E’ la prima volta che uno stato dell’America Latina supera la ricchezza annuale prodotta dall’ex potenza coloniale. Forte di una popolazione di 203 milioni di persone e di una crescita del PIL di oltre il 7% nel 2010 (anche se per il 2011 è prevista una crescita di un più modesto 3%, cifra comunque da sogno per l’Eurozona), il Brasile sta vivendo un periodo di grande crescita economica.

A sostenere questa crescita sono ovviamente (anche) le ingenti risorse naturali di cui dispone il Paese. Petrolio (interessanti le recenti scoperte offshore), gas naturale, argento ed oro, ferro, nichel ed addirittura uranio (si stima che ci siano circa il 5% delle riserve mondiali). All’avanguardia nella produzione di energia idroelettrica e di etanolo, il Brasile è sensibile anche al tema delle energie rinnovabili. Anche l’industria si avvia a nuovi orizzonti dove, trainata da automobili, settore aerospaziale, petrolchimica ed elettronica, conta ormai per il 30.8% del PIL.

Ma non tutto è oro quel che luccica. Il Brasile è da sempre patria di gravi problemi sociali. Sebbene la situazione politica sia incoraggiante, con una democrazia stabile che incoraggia gli investimenti stranieri, nelle immense favelas nei sobborghi delle grandi città i narcotrafficanti la fanno ancora da padrone. Ed il Pil pro-capite rimane tutt’ora a livelli modesti. Inoltre la pesante deforestazione dell’Amazzonia per accedere alle risorse nascoste nel suo sottosuolo è per ora un “ragionevole” prezzo da pagare, ma prima o poi le cose potrebbero cambiare.

Tuttavia, mentre in Europa si affronta la peggior crisi dal dopoguerra ad oggi, impantanati tra un’euro in crisi di identità, una stagnazione profonda ed una guida politica sempre più incerta, i paesi del BRIC si sono già trasformati da paesi emergenti a realtà attuali. Il Brasile è un paese sempre più interessante anche dal punto di vista energetico. Negli ultimi quindici anni ha intrapreso anch’esso la strada della liberalizzazione del mercato. La richiesta di energia è in forte aumento e lo rimarrà ancora a lungo. Chi ha coraggio troverà un mercato fertile ed in espansione, dove le industrie occidentali (un esempio per tutti, Fiat nell’automobile) potrebbero giocare un ruolo determinante.

giovedì 22 dicembre 2011

I Russi sono diventati il primo produttore al mondo di Petrolio

Il petrolio parla sempre più russo. Secondo fonti Ansa, è Rosneft il primo produttore al mondo di petrolio. Il lancio di agenzia, che qui riporto inegralmente è apparso anche sul sito della borsa Italiana.

http://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/ansa/dettaglio.html?newsId=333470

lunedì 19 dicembre 2011

Affonda la piattaforma petrolifera Kolskaya

Alle ore 2:45 di domenica 18 dicembre (ora italiana), al largo delle coste dell'isola Sakhalinskaya, nel mare di Okhotsk, una piattaforma per perforazione della compagnia  Gazflot, società del gruppo Gazprom, affonda.
Nonostante il rischio di disastro ambientale sia rientrato fin dai primi accertamenti (la piattaforma  era in fase di traino, quindi sembrerebbe non avesse ancora cominciato l'opera di estrazione) appaiono invece critiche le possibilità per i dispersi del personale di bordo, composto da 67 persone; di queste ne sono state tratte in salvo14, mentre 4 corpi sono stati trovati senza vita. Dei dispersi, che ammonterebbero quindi a 49, si devono avere ancora notizie, difficili da ottenere per le particolari condizioni climatiche che risulterebbero pessime (rendendo tra l'altro difficoltose le azioni di salvataggio delle seguenti ore): tuttavia si nutrono poche speranze, dato che le temperature si aggirano intorno ai -17°C, e a detta delle autorità in tali circostanze le aspettative di sopravvivenza non vanno oltre le 6 ore.
E sarebbero proprio le estreme condizioni atmosferiche ad avere causato l'affondamento: secondo le prime ricostruzioni l'impatto con i blocchi di ghiaccio presenti nel mare di Okhotsk avrebbe reso instabile la struttura, che avrebbe cominciato ad imbarcare acqua; a questo punto i venti fortissimi e  le onde alte 5 metri avrebbero "rovesciato" la piattaforma, decretandone il rapido inabissamento confermato dal capo del ministero della protezione civile Taimuraz Kasayev.

Tuttavia non mancano le polemiche: difatti molti osservatori non comprendono come si siano potute trascurare le condizioni climatiche avverse alla navigazione e puntano il dito contro l'ennesima violazione delle norme di sicurezza.
Alcuni trovano analogie fra l'incidente in questione e quello che accadde al traghetto civile Bulgaria: dei 200 imbarcati ne morirono circa 110, corrispondente proprio al numero che invece avrebbe potuto ospitare al massimo l'imbarcazione secondo la licenza di navigazione.
Proprio come allora sembra che a bordo della piattaforma ci fosse del personale non autorizzato.  Stando alla normativa, solo al capitano e a una minima parte dell'equipaggio necessaria per il trasporto è permesso stare a bordo quando la piattaforma è rimorchiata. Secondo il quotidiano Kommersant nel caso della piattaforma Kolskaya, invece, c'erano ingegneri, assistenti, operatori, imbarcati forse per risparmiare sull'uso di una nave.

Di seguito è riportato un link ad un video di un notiziario russo che riporta la notizia

http://video.repubblica.it/mondo/russia-a-picco-piattaforma-petrolifera-morti-e-dispersi-a-14-gradi-sotto-zero/83970?video=&ref=HREC1-6

Purtroppo eventi come questi potrebbero trovare una intensificazione nel prossimo futuro, col rischio di aggiungere alla tragedia umana anche il disastro ambientale: infatti si ritiene che nel Mare Artico si possano trovare riserve di idrocarburi che ammonterebbero alle scorte che la Russia detiene sul proprio suolo nazionale. E' stato recentemente reso noto dalle autorità russe l'intenzione di avanzare la richiesta alle Nazioni Unite di estendere il confine delle proprie acque territoriali per potersi assicurare l'esclusiva delle suddette riserve, che porterebbero questa Nazione a competere con l'Arabia Saudita circa la capacità di produrre idrocarburi. Proprio alla luce di queste intenzioni altri paesi, quali gli USA, il Canada, la Danimarca (che ha la sovranità della Groenlandia) e l'immancabile Cina, si stanno muovendo, promuovendo anche campagne di esplorazione. Questa "corsa all'Artico" preoccupa molto gli osservatori internazionali, soprattutto di orientamento ambientalista, che vedono negli ecosistemi di quei fondali un'importante quanto fragile riserva di biodiversità.
Di certo problemi legati alla capacità tecnologica di poter estrerre in quegli ambienti, e i limiti imposti dagli ingenti capitali che necessariamente dovranno essere investiti in questi progetti sembrano allontanare la possibilità che questa corsa si realizzi nell'immediato.
Non bisogna però trascurare due importanti dettagli: innanzitutto i cambiamenti climatici che stanno interessando tutto il Pianeta potrebbero dare nel prossimo futuro una svolta all'aspetto dell'Artico, che potrebbe diventare quantomeno più "ospitale"; inoltre non bisogna trascurare che nonostante la frenata conosciuta in questi ultimi anni di crisi, la nostra civiltà è sempre più energivora, e fintanto che altre tecnologie energetiche non si affermino (o non vengano sviluppate) gli idrocarburi restano una fetta molto importante delle riserve energetiche disponibili.

Ivan Ignelzi.

domenica 18 dicembre 2011

Inizia il viaggio...

Essendo un nuovo blog credo sia doverosa una presentazione: come si può intuire dal nome questa pagina è nata per unire tutti i partecipanti del master MEA  dell'anno 2011-2012.
Tuttavia si propone un compito in più, e cioè essere uno spazio in cui discutere di tutti i temi riguardanti l' "energia" nelle sue forme, e di quanto essa risulti importante e onnipresente nella vita di tutti i giorni, di tutti noi.
Per ovvie ragioni di tempo il blog è ancora in costruzione, per cui non spiega cosa effettivamente sia il master MEA (che presto verrà presentato), ma spero che nel frattempo tutti quelli che vorranno partecipare (anche coloro i quali non frequentano il suddetto master) contribuiscano con la loro voce e i loro suggerimenti a far sì che tale blog migliori sempre.

A presto!

Ivan Ignelzi.